Al di là del fiume

Rispetto per l’ambiente e per le persone, visione olistica, nutrizione consapevole sono i capisaldi della Guida Nomade e delle realtà che la costituiscono. Il nostro viaggio per scoprirle continua sull’Appennino tosco-emiliano, nel parco storico di Monte Sole.

Primum non nocere. Il principio cardine di Ippocrate, il padre della medicina, dovrebbe essere esteso anche in altri campi. All’insegnamento, all’agricoltura, a chi lavora nel turismo. Il «non nuocere» è anche il criterio di base della Guida Nomade, progetto de La Grande Via di Franco Berrino, in collaborazione con Terra Nuova, che seleziona realtà italiane impegnate nella produzione di buon cibo o che offrono percorsi votati al benessere naturale.

Le aziende coinvolte dal progetto si impegnano per la tutela dell’ambiente, sono caratterizzate dalla passione per il cibo sano e lo stile di vita salutare, pongono attenzione al come, prima ancora del cosa si fa e cosa si produce. Tutte esperienze che ci impegniamo a conoscere da vicino e che vale la pena raccontare.

Così, stavolta siamo arrivati in Emilia, nei pressi di Marzabotto (Bo), sulle sponde di un fiume, il Reno, che taglia in due la valle. Sulla parte destra ci sono le strade, la ferrovia, le scuole e i negozi. Dall’altra parte si va verso la vita selvaggia. Al di là del fiume nasce così, da questa voglia di oltrepassare il fiume, esplorare l’ignoto, vivere in armonia con la natura. Si entra in un’area naturalistica ricca e affascinante, sul percorso della celebre Via degli Dei, all’interno del Parco regionale storico di Monte Sole, luogo della memoria, teatro di uno degli eccidi più efferati del nazifascismo in Italia. Il progetto si snoda tra la terra e il cielo, con due strutture denominate per l’appunto Al di là del fiume-Terra e Al di là del fiume-Cielo.

Il primo è un agriturismo, che produce eccellenze enogastronomiche, grani antichi, vitigni autoctoni. Il secondo offre ospitalità rurale creativa all’interno di una casa del 1850, immersa nel verde, con oltre venti posti letto, ristorazione e due sale per convegni o eventi.

La costruzione di un sogno

Danila Mongardi ci racconta la genesi del progetto, che assomiglia alla vera costruzione di un sogno. «Prima di dar vita a questa avventura ero vicepresidente di una cooperativa sociale dove cominciai a lavorare, da volontaria, da quando avevo 17 anni. Mio marito, Gabriele, lavorava nell’azienda familiare dove si producono tacchi per le scarpe. Suo padre e suo nonno lavorarono qui come contoterzisti per molti anni: se durante l’inverno facevano i falegnami, durante l’estate, in quanto proprietari di vari mezzi agricoli, lavoravano la terra a cottimo, e quella che più utilizzò i loro servigi fu questa. Quando, nel 2005, la struttura Ca’ de co’ venne messa in vendita, io e mio marito pensammo che fosse dignitoso per la nostra storia chiudere quel cerchio, per noi e per i nostri figli. Questa avventura è partita in un momento di totale stabilità, non eravamo alla ricerca di cambiamenti, o per lo meno non consapevolmente. La comprammo senza nemmeno capire da subito quanto quest’azione avrebbe cambiato la nostra vita.
Inizialmente pensavamo di passarci qualche tempo, un fine settimana ogni tanto. Abbiamo deciso in seguito che non volevamo seguire il percorso agricolo convenzionale. Neppure il biologico ci sembrava congeniale. Sembrava un’etichetta e non una filosofia. Poi mio marito ha iniziato a fare corsi di cultura biodinamica alla Fondazione Le Madri. E dopo è avvenuto l’incontro con Adriano Zago, agronomo collaboratore di Terra Nuova, che ci è stato di grande supporto, prendendoci per mano e aiutandoci a dar vita a un organismo agricolo biodinamico multifunzionale con attività produttive, didattiche, ricreative, artistiche e terapeutiche, per il benessere dell’uomo e dell’ambiente».

E pensare che quando Danila e Gabriele si insediarono in questo posto si trovarono di fronte al deserto. Il vecchio proprietario, qualche anno prima, aveva espiantato tutte le vigne per ottenere gli incentivi statali. Così, i due hanno iniziato una lunga ricerca presso tutti gli anziani della zona per capire cosa si coltivava in questo posto. E tutti ripetevano la stessa cosa: si coltivavano i vitigni Albana e Barbera. La prima, vinificata secca, per tutti i giorni, la seconda per la festa, dopo la messa. «Così ci è stato insegnato e così abbiamo fatto noi ripristinando anche altre varietà come Montuni, Alionza, Pignoletto, tutte tipiche dell’Appennino o dei Colli Bolognesi» testimonia Danila.

«Certo, lo devo ammettere, è stata dura. Soprattutto perché il primo anno, il 2014, l’anno del difficile passaggio a questa attività, una grandinata ci distrusse completamente. Non vendemmiammo nulla, ma capimmo quanto fosse necessario accettare l’idea che, per quanti sforzi si facciano, siamo un pezzetto di qualcosa di molto più grande di noi e per questo è saggio abbandonare ogni illusione di controllo. Questo è stato un insegnamento importante e sano: la crescita del nostro progetto e di noi stessi è in continuo movimento e ogni giorno cerchiamo di coltivare la terra, le stelle, i sogni e il cielo per migliorare la fertilità della terra e il benessere di chi la abita! Da gennaio 2020 siamo certificati Demeter, prima azienda certificata dei colli Bolognesi».

La terra

L’azienda agricola si estende per 27 ettari, di cui 6 coltivati con vigneti autoctoni, e poi ancora grani antichi, segale, ortaggi, erbe officinali, varietà antiche di frutti, come la mela rosa romana. «Abbiamo quattro figli, e anche questo ha fatto la differenza» dice Danila. «La biodinamica ha risvegliato in mio marito un rapporto con la terra molto forte, mentre io ho affinato il mio rapporto di valorizzazione delle persone. Abbiamo fatto nostra l’idea di non aver semplicemente acquistato del terreno, ma di aver preso la terra in prestito dai nostri figli».
Uno fra loro, quello di 19 anni, effettivamente è già attivo nel lavoro in azienda.

Nell’agriturismo è presente il ristorante e un’ampia sala polivalente dotata di videoproiettore che può ospitare convegni, corsi o gruppi per attività culturali o legate al miglioramento della qualità della vita. C’è anche una terrazza all’aperto e, al piano interrato, la cantina di vinificazione con sala per le degustazioni.

«Nella costruzione dell’immobile ci siamo lasciati guidare dalla bioedilizia, una filosofia al servizio del vivere bene» racconta Danila. «Più che di risparmio, la bioedilizia si preoccupa della sintonia con l’ambiente e con la natura. Abbiamo scelto materie prime naturali come argilla, calce, canapa, paglia e terra cruda perché hanno un’anima e permettono alla casa di respirare».

Danila non lo nasconde, è un’estate un po’ particolare, ma stanno iniziando ad avere delle belle risposte. «Riusciremo a fare una settimana residenziale con Amnesty e una con Libera. Avremo campi residenziali con bambini e giovani, tutti legati al contatto con la terra. Facendoli lavorare con attività di teatro, argilla, ma anche nell’orto, con le api, lo spirito degli alberi, per vivere l’azienda agricola. Iniziamo anche ad avere realtà del territorio che nel weekend faranno qui esperienze legate allo yoga».

Il progetto è molto ambizioso, destinato ad attirare visitatori consapevoli di ogni sorta, dagli amanti delle discipline olistiche agli escursionisti, agli appassionati di storia e cultura. L’attenzione all’ecologia in questo luogo è totale, difficile trovare delle pecche. Qua si può anche arrivare con i mezzi pubblici, scendendo alla stazione di Pian di Venola, situata sulla linea tra Bologna e Porretta Terme. Ci sono due treni ogni ora, che diventano uno l’ora nel weekend. Una volta scesi alla stazione e attraversato il paese si imbocca un agevole sentiero che permette di arrivare direttamente alla struttura con una camminata di un quarto d’ora al massimo.